VISITA GUIDATA 21 FEBBRAIO

CLASSI QUARTE E QUINTE SCUOLA PRIMARIA

NAPOLI - TEATRO ACACIA - MASCHIO ANGIOINO - SAN FRANCESCO DI PAOLA

GLI ALUNNI DELLE CLASSI QUARTE E QUINTE DELLE SCUOLE PRIMARIE DELL'ISTITUTO COMPRENSIVO DI PIETRAMELARA IL 21 FEBBRAIO 2018 POTRANNO ASSISTERE, AL TEATRO ACACIA DI NAPOLI, ALLO SPETTACOLO INTITOLATO

ANFITRIONE: L'OSPITE INATTESO (Plauto)

 

NEL POMERIGGIO, DOPO AVER GUSTATO UNA PIZZA NAPOLETANA PRESSO LA PIZZERIA VISCARDI, POTRANNO VISITARE IL MASCHIO ANGIOINO E LA CHIESA DI SAN FRANCESCO DI PAOLA

ALCUNE INFORMAZIONI DIDATTICHE SULLA GIORNATA

Anfitrione: l’ospite inatteso (da Plauto)

libero adattamento e ambientazione di Lello Serao con:

Alcmena – Maria Basile

Giove/Anfitrione – Agostino Chiummariello

Sosia – Biagio Musella

Mercurio – Sergio del Prete

Tessala – Marianna Mercurio

Regia - Lello Serao

 

Note:

Tragicommedia andata in scena all’incirca nel 206 a.C. L'opera trae il titolo da uno dei protagonisti, il comandante dell'esercito tebano Anfitrione.

Plauto definisce quest’opera, nel prologo, una Tragicommedia perché in essa coesistono sia gli umani che le divinità, entrambi i soggetti partecipano alla resa comica degli equivoci che si determineranno nel corso degli eventi.

Mercurio nei panni di Sosia sta sorvegliando la casa di Anfitrione, intanto Giove, nei panni di Anfitrione, consuma il suo amore per Alcmena, anche la notte viene allungata per permettere al dio di giacere di più con la donna. Intanto Anfitrione è appena sbarcato dopo la vittoriosa spedizione contro i barbari, Sosia sta correndo a raccontare ad Alcmena del comportamento valoroso del suo padrone. Sosia giunge davanti al palazzo di Anfitrione, ma Mercurio, fingendosi Sosia, minaccioso gli impedisce di entrare, i due passano da elaborate minacce alle mani e il dio prevale nettamente sulla codardia del servo. Da questo momento tutto lo svolgersi della commedia si articolerà su un sistema di equivoci determinati dalla coesistenza di due doppi Anfitrione /Giove  e Mercurio/Sosia. Alcmena è l’elemento del contendere, ella rimane confusa e indispettita dall’atteggiamento di Anfitrione che una volta tornato  a casa, all’oscuro del precedente arrivo di Giove vestito delle sue spoglie, accusa la moglie di adulterio e l’equivoco si ingarbuglia fino all’inverosimile creando continue situazioni di malintesi e di scontri che generano come sempre elementi di comicità. Il pubblico è già informato di tutto perché Mercurio nel suo prologo ha già spiegato cosa sta per accadere e quindi il pubblico sembra essere un altro personaggio che viene chiamato in causa a determinare simpatie per l’uno o per l’altro dei personaggi.

In questa struttura aperta troviamo una straordinaria modernità , nessuna illusione dovrà essere creata per sbalordire lo spettatore, tutto è dichiarato e ci si può divertire ai danni dei malcapitati perché è questo il gioco a cui si deve prendere parte. Elemento strutturale che contribuisce a questo gioco è il ritmo, la capacità di protrarre le situazioni fino ad un certo limite senza strafare. La battuta arriva precisa, il dialogo scorre veloce, il primo attore e la sua spalla si coordinano sempre in modo puntuale scambiandosi la parte trainante e l’azione è continuamente segnata da entrate e uscite che aumentano il ritmo scenico.

Plauto, sebbene denigrato, come spesso accade per gli autori che si occupano del comico, è un autore determinante nella storia del teatro perché segna una continuità tra la commedia classica e la commedia nuova, attingendo a piene mani non solo dai classici greci ma anche da quelle forme di teatro autoctono che persistono nell’Italia meridionale, dalle Atellane commedie nelle quali la maschera del Maccus è protagonista, alle tracce di teatro che troviamo tra il Lazio e l’Etruria e che viene riassunto nel termine “ Fescennino”, vero e proprio teatro all’improvvisa messo a bando perché troppo licenzioso e carico spesso di attacchi alle autorità, elemento questo presente sotto traccia anche in Plauto. 

Sarà lo stesso Plauto a definire il termine della sua scrittura usando il verbo “volvere” ovvero trasformare, egli trasforma materia preesistente ridandole forma nuova e capacità attrattive verso il nuovo pubblico.

Alla fine come è giusto che accada nelle commedie tutto si risolve e Giove dichiarando ad Anfitrione l’inganno lo mette al corrente che Alcmena non ha alcuna colpa di quanto accaduto e che uno dei gemelli che è nato ha natura divina e che il  nome di Anfitrione sarà ricordato in eterno perché padre di una divinità. Quello che nascerà da questo incontro sarà Ercole noto per la sua forza e per le fatiche che dovrà sostenere.

Per quanto Plauto sia alieno dall’introdurre una morale nelle sue commedie, mi sento di affermare che per questa potrebbe essere: mariti, state attenti, non state troppo lontano dalle vostre mogli perché al vostro ritorno a casa, potreste ricevere inopinatamente la bella sorpresa di scoprire di essere padre di un… Ercole!

Altro elemento che favorirà il perdurare di quest’opera è dato dal significato che assumeranno i nomi dei due protagonisti, Anfitrione diventerà per antonomasia colui che accoglie l’ospite nella sua casa e Sosia il doppio di se stesso.

Nella nostra messa in scena abbiamo voluto aumentare la comicità del linguaggio usando il napoletano come lingua di riferimento per gli umani e questo non tradisce affatto l’opera ma ne avvalora il senso e il significato, abbiamo a nostra volta trasformato, come Plauto suggerisce, la lingua per meglio cogliere il senso dell’opera e la sua forza . Lo spettacolo si nutre di forme di teatro anche a noi più prossime come il Varietà in cui le situazioni sono amplificate da motivetti oriecchiabili e da canzonette allusive.

AL TERMINE DELLO SPETTACOLO TEATRALE GLI ALUNNI, IN PULLMAN, VERRANNO TRASFERITI PRESSO LA PIZZERIA TRATTORIA "CASA VISCARDI"

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NEL POMERIGGIO SI POTRA' VISITARE...IL MASCHIO ANGIOINO...

Il Castel Nuovo (Maschio Angioino)

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Da Castel Nuovo a Maschio Angioino

Castel Nuovo, più conosciuto con il nome di Maschio Angioino, è un castello medievale e rinascimentale costruito su volere di Carlo I d’Angiò nel 1266, dopo aver sconfitto gli Svevi, essere salito al trono di Sicilia ed aver spostato la capitale da Palermo a Napoli.

Dal XIII secolo l’imponente Maschio Angioino, con le sue grandi cinque torri cilindriche, rappresenta uno dei simboli della città di Napoli, grazie alla sua posizione strategica in piazza Municipio, nell’area del Porto.

La fortezza fu fatta edificare per diventare la residenza reale dei sovrani Angioini, e fu chiamata Castrum novum, per distinguerla dai tre castelli già esistenti (Castel Sant’Elmo, Castel dell’Ovo e Castel Capuano). Ma il re Carlo I non vi abitò mai, mentre il castello, sotto Roberto il Saggio, diventò la sede partenopea di alcuni ospiti illustri della cultura, come Petrarca, Boccaccio e Giotto che nel 1332 affrescò la Cappella Palatina.

Furono gli Aragonesi, con il regno di Alfonso d’Aragona, a rendere il Maschio Angioino una sontuosa ed elegante corte reale, ed a ricostruire completamente il suo aspetto esteriore fino a raggiungere la struttura attuale. Ad occuparsi del restauro fu l’architetto catalano Guillem Sagrera che concepì la struttura con uno spirito gotico-catalano che si può notare nella forma cilindrica delle cinque torri, quelle “interne” “di San Giorgio“, “di Mezzo” e “di Guardia“, e le due sul lato rivolto verso il mare, la torre “dell’Oro” e quella “di Beverello“. A dare maggiore imponenza alla struttura egli realizzò il caratteristico Arco Trionfale in marmo, per celebrare l’ingresso di re Alfonso a Napoli, in stile rinascimentale napoletano ed ispirato agli archi di trionfo romani.


Durante il vicereame spagnolo il castello perse la sua funzione di residenza reale per assumere un ruolo militare per la sua posizione strategica, ed ospitò i re di Spagna in visita a Napoli, come l’imperatore Carlo V.

Con i Borbone la reggia dei sovrani fu ufficialmente spostata altrove (Capodimonte, Palazzo Reale, Portici) e Castel Nuovo fu considerato soltanto un simbolo della storia e della grandezza di Napoli. Fu infatti scelto come sede per la proclamazione della Repubblica Partenopea nel 1799, l’ultimo grande evento che rese il Maschio Angioino protagonista di Napoli.

Cosa visitare nel Maschio Angioino

Tra le sale da visitare all’interno del Castello c’è la Sala dei Baroni, dove nel 1486 ebbe luogo la celebre congiura contro Ferdinando I d’Aragona, figlio di Alfonso, da parte di alcuni nobili. Il re, superate le ostilità, invito tutti i baroni al castello con la scusa della festa di nozze della nipote. Ma i baroni, dopo essere stati accolti, furono arrestati e messi a morte.

La Cappella Palatina, invece, è l’unica testimonianza del castello medievale angioino, i cui interni furono affrescati da Giotto con il ciclo delle Storie del Vecchio e Nuovo Testamento, di cui restano soltanto alcuni decori. Nelle Prigioni, situate nei sotterranei del castello, si trovano la Fossa del Coccodrillo e la prigione dei Baroni.

Attualmente il Maschio Angioino è sede permanente del Museo Civico, un percorso museale attraverso le sculture e dipinti del barocco, de rinascimento e dell’Ottocento napoletano, ed ospita mostre ed esposizioni temporanee.

BASILICA REALE PONTIFICIA DI SAN FRANCESCO DI PAOLA

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San Francesco di Paola, prima chiesa di Napoli con altare rovescio

Tra gli esempi più importanti in Italia di architettura neoclassica, protetta alle spalle dai Quartieri Spagnoli, dall’Egiziaca, da Monte di Dio e Pizzofalcone, la basilica reale pontificia di San Francesco di Paola si staglia con il suo porticato e la sua imponente facciata in piazza del Plebiscito. Gioacchino Murat, arrivato a Napoli, con l’intento di ripulire la zona, all’epoca degradata e frequentata da malviventi, ordinò l'abbattimento di tutti gli edifici e la costruzione di una piazza che avrebbe dovuto prendere il nome di Gran Foro Gioacchino: il progetto scelto proponeva l'edificazione di un porticato con al centro un'aula circolare da utilizzare come sede di assemblee popolari. Quello stesso porticato sotto il quale ha passeggiato Wagner, mandato a Napoli perché terminasse in tranquillità il “Parsifal”.

Il progetto originario non arrivò mai a compimento perché Gioacchino Murat fu cacciato da Napoli e fu restaurata la corona borbonica: Ferdinando I delle Due Sicilie quindi, come ex voto nei confronti di san Francesco da Paola, che lo aveva protetto facendolo tornare sul trono del Regno, decise la costruzione di una chiesa al centro del porticato e fu espressamente chiesto che l'altezza della cupola non superasse quella di Palazzo Reale posto di fronte.

La chiesa fu conclusa nel 1846, rispecchiando pienamente quello che era il gusto neoclassico ed ispirandosi nelle forme al Pantheon di Roma: grazie ad privilegio concesso da papa Gregorio XVI, fu la prima chiesa di Napoli ad avere l'altare rovescio. Per accedervi, occorre percorrere una breve scalinata in marmo di Carrara. La facciata presenta un pronao con sei colonne in ordine ionico e due pilastri laterali che reggono l'architrave; a sinistra una statua di San Francesco di Paola, a destra una statua di San Ferdinando di Castiglia e sulla sommità una statua della Religione.

Il corpo centrale ha forma rotonda (il diametro è di 34 metri), ed è pavimentato con marmi policromi: lungo tutto il perimetro della chiesa si innalzano trentaquattro colonne in marmo di Mondragone, alte undici metri, terminanti con un capitello corinzio decorato con il giglio borbonico, a cui si interpongono otto pilastri della stessa altezza. Colonne e pilastri reggono il tamburo, all'interno del quale sono state realizzate le tribune utilizzate dai reali per assistere alle funzioni religiose. All’interno, anche una tela di Luca Giordano. Nella zona absidale è posto l'altare maggiore: questo, disegnato nel 1751 da Ferdinando Fuga ed originariamente destinato alla chiesa dei Santi Apostoli, è realizzato in porfido ed abbellito con lapislazzuli e pietre d'agata ed ai suoi lati sono poste due colonne in breccia egiziana.